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IL SISTEMA DI AUTOCURA: IL TRAUMA E I SUOI MONDI

La mente di chi ha subito un trauma può rifugiarsi nella fantasia per salvarsi dalla sofferenza e diventare prigioniera dei suoi stessi mondi immaginari. Donald Kalsched nel suo “Il mondo interiore del trauma” descrive questo sistema di autocura e spiega come la terapia può aiutare il paziente a tornare a nutrirsi della realtà.


Quando sperimentiamo un evento intollerabile per la nostra mente essa cerca di rispondere attivando dei meccanismi di difesa, così che possiamo sopravvivere al trauma senza esserne del tutto annientati. A volte in presenza di eventi tanto distruttivi (o percepiti come tali) e soprattutto se chi li subisce non è ancora abbastanza formato, l’unica possibilità che ha la mente è quella di utilizzare delle difese più “arcaiche”, ad esempio distaccandosi dall’esperienza vissuta.

La dissociazione in psicologia è un processo per cui alcuni elementi psichici si distaccano dal resto del sistema psicologico dell’individuo, in un certo senso lo “dividono” da qualcosa che non riesce ad elaborare, proteggendolo e al tempo stesso compromettendo alcuni processi psicologici.

Il sistema di autocura: protettore e persecutore



Nel libro “Il mondo interiore del trauma“, Donald Kalsched descrive come in presenza di un trauma la mente possa dividere una parte più vulnerabile, che rimane nascosta e protetta, bambina, e una parte adattata, che cresce troppo velocemente così da interfacciarsi con il mondo esterno. Proprio questa parte adattata della personalità si può rappresentare come una figura protettrice e malevola al tempo stesso, che esiste per proteggere la parte più fragile, ma contemporaneamente ne impedisce l’elaborazione del trauma e non permette all’individuo intero di tornare in contatto con la realtà. Questo tipo di difese messe in atto dalla mente costituiscono quello che l’autore chiama “sistema di autocura“.


I mondi interiori

Una persona che abbia subito un trauma potrebbe aver sviluppato un mondo fantastico in cui rifugiarsi e sentirsi “nutrita”, laddove il mondo esterno, reale, non assolva a quella funzione. Questo mondo può avere varie forme, l’amico immaginario, l’esistenza di un mondo fatato, della magia, e qualsiasi altra fantasia che dia vita ad una realtà immaginaria e sostitutiva di quella tangibile, vissuta dalla persona come “misera” e sterile. Tale fantasia permette alla parte fragile della persona di salvarsi dal trauma, dal dolore di tale esperienza negativa, di trovare uno stimolo per continuare a vivere ed evitare non solo la sofferenza iniziale ma anche le possibili sofferenze successive.

I mondi fantastici creati dalla mente sono perfetti, come il mondo che Eros creò per Psiche, e possono generare dipendenza: essi impediscono all’Io di crescere, e temendo che il trauma accada di nuovo, attaccano ogni nuova opportunità di vita, facendo resistenza ad ogni espressione di sé nel mondo. Col tempo, quindi, quelle stesse fantasie (rappresentate anche da quella che prima abbiamo chiamato “personalità adattata”) cessano di avere solo la funzione protettiva per cui sono nate, e diventano loro stesse un ostacolo per l’individuo. La crescita, l’evoluzione, e l’elaborazione del trauma diventano possibili solo integrando le due parti di personalità, “i due mondi”, quello reale e quello immaginario.

Il punto d’arrivo è infatti la percezione della realtà come tangibile e unica, ma dotata di un senso e di un significato che solo qualcosa di magico, di numinoso, come lo definisce Kalsched, può darle.


Dall’idillio alla realtà: la relazione terapeutica



La relazione terapeutica in questo contesto può favorire l’integrazione dei due mondi e il ritorno alla realtà del paziente, ma per farlo deve passare attraverso alcune fasi dolorose.


1) All’inizio si instaura una relazione positiva (transfert), fondamentale al processo di guarigione, per cui il paziente comincia a fidarsi del terapeuta. Gli affida il suo mondo interiore, abbandona l’autoconforto, ed instaura quindi un primo legame con la realtà. In questo stadio il paziente ricomincia a sperare e sognare, e il terapeuta stesso è coinvolto dalla relazione (controtransfert). Insieme creano così un temporaneo idillio relazionale, come Raperonzolo e il principe nei loro primi, spensierati incontri. 2) La seconda fase avviene quando il paziente fa una richiesta reale (ad es. “andiamo a prenderci un caffé domani?”) che il terapeuta deve rifiutare, andando così incontro alla delusione. A quel punto anche il terapeuta si rende conto di aver contribuito a creare una dipendenza reciproca, e si accorge che ogni riferimento alla sua vita reale viene vissuto dolorosamente dal paziente. Questi al tempo stesso si rende conto che il terapeuta non è il “salvatore” che aveva immaginato. 3) L’ultima fase giunge quando, dal timore che la relazione delusa sia ormai completamente distrutta, nasce il reciproco dolore, la cui autenticità nel terapeuta è particolarmente importante per il paziente. A questo punto la sofferenza del contatto con il reale, riproposta gradualmente, può essere elaborata, e con essa il trauma.

Quanto riportato in questo articolo è la versione semplificata e riassuntiva dell’analisi invece molto approfondita di Donald Kalsched, ricca di esempi clinici e riferimenti alla letteratura junghiana e di altri autori, di cui consigliamo la lettura soprattutto agli psicologi. Potete acquistarlo qui.

 
 
 

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